L’analisi e la comprensione delle dinamiche che stanno alla base di quella che potremmo chiamare la dimensione estetica è sempre stata al centro degli interessi dei pensatori riconducibili alla Scuola di Francoforte. In un tale contesto, il caso di Max Horkheimer è rilevante e, al tempo stesso, anche molto particolare. Da un lato, infatti, abbiamo chiaramente a che fare con l’autore la cui filosofia forse più di ogni altra rispecchia il pensiero sviluppato in generale dalla Scuola, di cui egli è stato lo "spiritus rector”; insomma, il fondatore della teoria critica, nella misura in cui l’orientamento assunto dall’Istituto sotto la sua direzione conteneva in germe fin dagli anni Trenta quelli che saranno gli elementi qualificanti destinati a rendere celebre e importante tale teoria. Dall’altro lato, però, si deve constatare come siano relativamente pochi i contributi di Horkheimer specificamente vertenti su tematiche estetiche. Alla luce di ciò, il mio tentativo sarà quello di esaminare la riflessione horkheimeriana su questi problemi prendendo le mosse dal suo saggio "Arte nuova e cultura di massa". Quindi, spostando il focus della mia attenzione anche su Adorno, tenterò di esaminare alcune loro posizioni sui temi della verità dell’arte e del destino di quest’ultima nell’epoca della “industrializzazione” della cultura. Scopo precipuo del presente contributo sarà quindi verificare se e fino a che punto le categorie interpretative elaborate da questi autori siano funzionali alla comprensione di determinate tematiche e sfide della contemporaneità – evitando d’altra parte, nel far ciò, che questo esercizio si traduca in una mera verifica di “ciò che è vivo e ciò che è morto” nel loro pensiero.