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Obiettivo: la transizione relativa al trasferimento della persona anziana nonautosufficiente dal domicilio a una struttura residenziale è complessa e caratterizzata da una vasta gamma di vissuti emozionali ambivalenti per tutti gli attori coinvolti. Obiettivo della ricerca qui presentata è quello di indagare e descrivere la percezioni che gli operatori dell’équipe di cura e assistenza della RSA hanno dei vissuti e dei bisogni che accompagnano il familiare nella scelta dell' istituzionalizzazione e agli ingresso in RSA, dei vissuti dei bisogni di cui gli operatori stessi fanno esperienza nella relazione con i familiari in questa fase del percorso di cura, nonché delle possibili risposte a tali bisogni secondo il punto di vista dell’operatore. Metodologia: il disegno di ricerca adottato è di tipo qualitativo e si avvale di interviste somministrate a 9 operatori facenti parte dell’équipe di cura di assistenza di una RSA del nord Italia. Risultati: dalle interviste emerge un operatore consapevole sia delle molteplici e ambivalenti emozioni esperite dal familiare durante la transizione, sia delle motivazioni che lo portano a scegliere l'istituzionalizzazione del proprio caro. L'operatore riconosce inoltre l'importanza di spazi di confronto e incontro con i familiari, ma nel contempo riporta come, a livello fattuale, non esistano spazi di effettivo e reale coinvolgimento dei giver informali. La precisione con cui l'operatore riconosce emozioni e motivazioni del familiare non sempre però corrisponde ad altrettanta consapevolezza per i propri vissuti emotivi e per come essi agiscano nella relazione con il familiare, ad indicare una specifica area di bisogno formativo e di accompagnamento degli operatori in questa complessa relazione., Objective: The transition of the non self-sufficient eldery person from the home to a residential care is complex and characterized by a wide range of ambivalent emotional experiences in all actors involved. The aim of the current research was to investigate and describe how professionals working in residential care perceive the caregivers, their needs and emotional experiences in this transition, how they perceive their own needs and emotions in relation to caregivers, as well as how they describe possible responses to both needs. Methodology: The research design was qualitative: interviews were administered to 9 different professionals of a residential care structure located in Northern Italy. Results: Findings showed that professionals were aware of the multiple and ambivalent emotions experienced by the caregiver in this transition, and the motivations leading to the institutionalization of their loved one. The professional also recognized the importance of family members in the care plan, but at the same time showed how, practically, there are no spaces for effective and real involvement of informal caregivers. The precision with which professionals recognized the emotions and motivations of the family member did not always correspond to a similar awareness of their own emotional experiences and of the way they act in the relationship with the family member, thereby indicating a specific need for training and accompaniment of the professional figures in this complex relationship.

La modernità ci ha consegnato un’immagine di un essere umano totalmente indipendente, ritratto nella potenza del pensiero e dell’atto libero. Un’immagine che, però, si infrange sugli scogli concreti dell’esperienza della nostra fragilità fisica, psichica e spirituale. Vulnerabilità e dipendenza fanno parte della condizione umana, ma ci sono situazioni, come quella della malattia, che amplificandole le mettono in evidenza, facendo vacillare la solidità di quell’autorappresentazione astratta dell’umano che non ne tiene adeguatamente conto. In particolare è messa alla prova là dove la patologia attacca anche la sfera cognitiva. Primo Levi, ripensando a sé nei campi di concentramento, chiedeva al suo lettore “se questo è un uomo”. Non aveva certamente dubbi che si trattasse di un membro della specie umana: la sua domanda, scomoda e che condanna chi voglia distogliere lo sguardo, obbliga a riflettere su come debba essere trattato un uomo per essere rispettato come tale. Non solo: ci costringe a chiederci se siamo ancora capaci di vedere l’umano là dove tutto sembra nasconderlo. Analogamente, alcune condizioni patologiche possono a volte progressivamente mascherare l’umanità, ma è proprio qui che l’impegno per trattare l’uomo come tale mette alla prova, perché richiede in primo luogo un pensiero, capace poi di tradursi in atti concreti, che sappia riconoscere l’unicità del soggetto umano presente nonostante la malattia sembri occultarne la presenza. In particolare, lo stesso riferimento alla dignità della persona, tante volte invocato dalle carte dei servizi che proclamano di voler mettere la “persona al centro”, non deve dimenticare che la persona umana è una persona corporea. Nel riferirci e rapportarci alle persone umane, allora, occorrerà distinguere tre livelli: quello ontologico, che riguarda il nostro “essere delle persone umane”; quello conoscitivo, ossia del modo in cui possiamo sapere di essere alla presenza di una persona umana, anche quando la

La ricerca presentata in questo volume ha esplorato, usando un approccio partecipativo, i vissuti dei caregiver e dei soggetti che in prima persona affrontano una demenza all’esordio o le prime fasi del deterioramento cognitivo, con lo scopo di comprendere come potrebbero essere forniti aiuti specifici. La ricerca, infatti, ha visto coinvolti attivamente in tutto il processo di indagine soggetti con un’esperienza di vita diretta, personale o legata al loro lavoro quotidiano, del fenomeno da studiare, i quali sono stati considerati a tutti gli effetti co-ricercatori. I risultati permettono di comprendere il significato di una serie di aspetti importanti: il prendersi cura per il caregiver e il ricevere assistenza per l’anziano; gli atteggiamenti e le emozioni di entrambi riguardo alla malattia; il ruolo della famiglia e di altre figure significative; il rapporto con i servizi e le strategie di coping attivate.

24902, open, In the last decade, the differential diagnosis of dementia has become very challenging. Different clinical syndromes can in fact be associated with the same underlying pathology and different pathologies can be associated with the same clinical phenotype, making it very difficult to distinguish them in vivo. In the present project we focused on the differential diagnosis of cognitive syndromes affecting, at onset, posterior cerebral networks with particular reference to PCA, CBD and LBD, respectively. We enrolled 70 consecutive patients, referred to the memory clinic of the Neurology Department of S. Gerardo Hospital, with a cognitive profile characterized primarily by impairment of posterior cognitive functions and a relative spare of language and memory functions. Each patient underwent, an extensive neuropsychological battery, a neurological examination and a [18F]FDG-PET in close proximity to the neuropsychological assessment. Applying Principal Components Analysis to all the tasks of posterior cognitive functions, we highlighted three cognitive sub-syndromes that we interpret as anatomical-based and label as “left parietal”, “left temporo-occipital” and “right parietal” and we classify patients on the basis of these three components. Cerebral metabolism measured with [18F]FDG-PET confirm this interpretation of the three sub-syndromes. We then compared empirical patients classification and the diagnoses made with the current diagnostic criteria for Posterior Cortical Atrophy (PCA), Corticobasal degeneration (CBD), Lewy body dementia (LBD) and Alzheimer’s disease (AD). One of the most important evidence was that all patients classified as “left temporo-occipital” were diagnosed as AD or PCA (only one of these patients met both criteria of PCA and CBD). Two additional quite interesting associations emerged, although less strong: the first between “left parietal” and CBD diagnosis and the second between “right parietal” and PCA diagnosis. Finally a large group of p, No, open, Ferri, Ferri, F

In the last decade, the differential diagnosis of dementia has become very challenging. Different clinical syndromes can in fact be associated with the same underlying pathology and different pathologies can be associated with the same clinical phenotype, making it very difficult to distinguish them in vivo. In the present project we focused on the differential diagnosis of cognitive syndromes affecting, at onset, posterior cerebral networks with particular reference to PCA, CBD and LBD, respectively. We enrolled 70 consecutive patients, referred to the memory clinic of the Neurology Department of S. Gerardo Hospital, with a cognitive profile characterized primarily by impairment of posterior cognitive functions and a relative spare of language and memory functions. Each patient underwent, an extensive neuropsychological battery, a neurological examination and a [18F]FDG-PET in close proximity to the neuropsychological assessment. Applying Principal Components Analysis to all the tasks of posterior cognitive functions, we highlighted three cognitive sub-syndromes that we interpret as anatomical-based and label as “left parietal”, “left temporo-occipital” and “right parietal” and we classify patients on the basis of these three components. Cerebral metabolism measured with [18F]FDG-PET confirm this interpretation of the three sub-syndromes. We then compared empirical patients classification and the diagnoses made with the current diagnostic criteria for Posterior Cortical Atrophy (PCA), Corticobasal degeneration (CBD), Lewy body dementia (LBD) and Alzheimer’s disease (AD). One of the most important evidence was that all patients classified as “left temporo-occipital” were diagnosed as AD or PCA (only one of these patients met both criteria of PCA and CBD). Two additional quite interesting associations emerged, although less strong: the first between “left parietal” and CBD diagnosis and the second between “right parietal” and PCA diagnosis. Finally a large group of p

Forme diverse di malattie neurodegenerative possono manifestarsi con profili cognitivi diversi, verosimilmente in relazione alle aree cerebrali interessate dalla patologia. Come esempi di patologia a diversa espressione cognitiva, abbiamo studiato le abilità di lettura in pazienti affetti da malattia di Alzheimer (AD, n=19), da afasia primaria progressiva (PPA, n=6: 4 con variante logopenica, 1 con variante semantica e 1 con prevalente anomia) e da atrofia corticale posteriore (PCA, n=4). Come gruppo di controllo sono stati esaminati 34 soggetti esenti da patologia neurologica e di pari età e scolarità. Le prove sperimentali utilizzate consistevano in compiti di lettura (Toraldo et al., 2006) e ripetizione di parole e non-parole, lettura di parole con accento piano o sdrucciolo test di decisione lessicale orale e scritta. Nei compiti di decisione lessicale orale i soggetti con AD hanno ottenuto prestazioni significativamente inferiori rispetto ai soggetti con PCA, mentre il profilo opposto è emerso per la prova di decisione lessicale scritta. La lettura di non-parole è risultata significativamente peggiore rispetto a quella di parole sia nei soggetti con AD che in quelli con PPA. L’analisi per casi singoli ha permesso di individuare la presenza di dislessia fonologica nel 50% (n=2) dei casi con PCA, in una percentuale molto minore nei casi con AD (15.8%) e con PPA (16.7%). In un unico caso affetto da AD il disturbo di lettura è stato classificato come dislessia superficiale. Profili diversi delle abilità di lettura sono stati osservati in tutti i gruppi, senza quindi poter identificare alcun profilo fortemente diagnostico. In generale i pazienti con PCA risultano maggiormente compromessi rispetto agli altri due gruppi. Inoltre, peggiori prestazioni in modalità visiva sembrano indirizzare verso una diagnosi di PCA, mentre peggiori prestazioni in modalità orale potrebbero orientare verso una diagnosi di AD. Pur con i limiti dovuti alla scarsa numerosità del

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Talora, la somministrazione di certi farmaci, tra cui in particolare antipsicotici, può produrre distonie persistenti. Fra tali distonie, spicca quella del tronco nota come sindrome di Pisa (o pleurototono indotto da farmaci). In questo articolo vengono discusse le evidenze presenti in letteratura sulla epidemiologia ed il trattamento di tale quadro, in particolare nell’ottica della gestione del paziente con demenza all’interno dell’ambulatorio U.V.A. e/o psicogeriatrico.

Background: The latest developments in Lewy Body Dementia (DLB) raise some controversies on clinical features, neuroimaging and therapy. The aim of our study is to determine clinical, neuropsychological, neuroimaging and EEG profile of DLB through retrospective and prospective data of 102 patients. Methods: data were collected with an analytical form that was developed by an expertise of neurologists. Results: DLB represented 4.8% of the dementia population, with no sex difference. Family history of dementia was common (24.5%), while familiarity for parkinsonism was rare (4.9%). Cognitive disturbances were the predominant clinical presentation at onset (49%), followed by behavioral symptoms (29.4%) and parkinsonism (21.6%). Clinical features at consultation were: memory disturbances (almost all cases), symmetrical (68.6%) or asymmetrical (18.6%) parkinsonism, cognitive fluctuations (49%), visuospatial deficits (53.9%), and visual hallucinations (44.1%). Autonomic signs were present in a third of the cases, while sleep disorders were present in 44.1%. Some clinical response to antiparkinsonian drugs was evident in half of the cases. MRI, SPET, EEG and Neuropsychiatric Inventory data were available in a subgroup of patients. Conclusions: Most of our data were in accordance with the previous literature. However, some data underline the relationship between DLB, Alzheimer's and Parkinson's disease. © Mattioli 1885.

Background: Postmarketing surveillance studies (PMS) are an important tool for evaluating a drugs effectiveness and safety in clinical practice. To our knowledge, no PMS on memantine monotherapy for moderately-severe-to-severe Alzheimers disease (AD) according to National Institute of Neurological and Communicative Disorders and Stroke Alzheimers Disease and Related Disorders Association criteria has been conducted to date. Objective: The Lombardy Health Office, Italy, promoted this PMS to evaluate the effectiveness and safety of memantine in the treatment of moderately-severe-to-severe AD in clinical practice. Methods: A total of 451 patients with moderately-severe-to-severe AD (meanage 77 7 years; 72% female), free of cholinergic medication, received memantine (standard titration to 10 mg twice daily). After 6 months of therapy, treatment effectiveness was evaluated according to two definitions of response (no deterioration and improvement), as measured by changes in baseline scores on the Clinical Global Impression of Change, Mini-Mental State Examination, Neuropsychiatric Inventory and Activities of Daily Living scales. The safety measure was the frequency of adverse events (AEs). Results: At 6-month assessment, 26.8% of subjects showed no deterioration and 3.8% showed improvement. In those showing no deterioration, response to treatment at the 3-month assessment was associated with a greater probability of a response at 6 months (adjusted odds ratio = 8.54; 95% CI 4.54, 16.05). Seventy patients (15.5%) experienced at least one AE and 39 (8.6%) discontinued treatment prematurely because of an AE. Of those who experienced an AE, 27 (38.6%) manifested behavioural and psychological symptoms of dementia. Conclusion: The proportion of responders to memantine treatment in this PMS was similar to that reported in a previous randomized clinical trial (26.8% vs 29%, respectively). The proportion of patients who discontinued treatment prematurely because of an AE (8.6%) w

Studi recenti hanno messo chiaramente in luce la dimensione familiare delle demenze, insieme di patologie degenerative diffuse nella popolazione anziana. Possiamo considerare il carattere familiare delle demenze in età senile in un duplice senso: da un lato per l'incidenza che la malattia ha non solo sull'anziano, ma sull'intero nucleo familiare; dall'altro per il diretto coinvolgimento della famiglia nei compiti di cura e di assistenza nei confronti del proprio congiunto. Tali malattie, soprattutto nelle forme più invalidanti, hanno una risonanza rilevante sul nucleo familiare, sia per il notevole coinvolgimento nel processo di cura e di assistenza, sia per gli interrogativi esistenziali che esse suscitano nei membri della famiglia. L'articolo propone alcune forme di sostegno educativo per le famiglie che si trovino in tale situazione.