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Pyruvate kinase deficiency (PKD) is a rare autosomal recessive disorder caused by mutations in the PKLR gene. PKD is characterized by non-spherocytic hemolytic anemia of variable severity and may be fatal in some cases during early childhood. Although not considered the standard of care, allogeneic stem cell transplantation has been shown as a potentially curative treatment, limited by donor availability, toxicity, and incomplete engraftment. Preclinical studies were conducted to define conditions to enable consistent therapeutic reversal, which were based on our previous data on lentiviral gene therapy for PKD. Improvement of erythroid parameters was identified by the presence of 20%–30% healthy donor cells. A minimum vector copy number (VCN) of 0.2−0.3 was required to correct PKD when corrected cells were transplanted in a mouse model for PKD. Biodistribution and pharmacokinetics studies, with the aim of conducting a global gene therapy clinical trial for PKD patients (RP-L301-0119), demonstrated that genetically corrected cells do not confer additional side effects. Moreover, a clinically compatible transduction protocol with mobilized peripheral blood CD34+ cells was optimized, thus facilitating the efficient transduction on human cells capable of repopulating the hematopoiesis of immunodeficient mice. We established conditions for a curative lentiviral vector gene therapy protocol for PKD., Graphical abstract, We have established safe transduction conditions of human hematopoietic stem and progenitors cells (HSPCs) using a therapeutic lentiviral vector to correct pyruvate kinase deficiency (PKD). Lentiviral transduction protocol efficiently corrects HSPCs without affecting engraftment properties. This protocol is being applied to a gene therapy clinical trial for PKD patients.

Hematopoietic stem cell gene therapy is emerging as a promising therapeutic strategy for many diseases of the blood and immune system. However, several individuals who underwent gene therapy in different trials developed hematological malignancies caused by insertional mutagenesis. Preclinical assessment of vector safety remains challenging because there are few reliable assays to screen for potential insertional mutagenesis effects in vitro. Here we demonstrate that genotoxic vectors induce a unique gene expression signature linked to stemness and oncogenesis in transduced murine hematopoietic stem and progenitor cells. Based on this finding, we developed the surrogate assay for genotoxicity assessment (SAGA). SAGA classifies integrating retroviral vectors using machine learning to detect this gene expression signature during the course of in vitro immortalization. On a set of benchmark vectors with known genotoxic potential, SAGA achieved an accuracy of 90.9%. SAGA is more robust and sensitive and faster than previous assays and reliably predicts a mutagenic risk for vectors that led to leukemic severe adverse events in clinical trials. Our work provides a fast and robust tool for preclinical risk assessment of gene therapy vectors, potentially paving the way for safer gene therapy trials. ispartof: Molecular Therapy vol:29 issue:12 pages:3383-3397 ispartof: location:United States status: published

Soil to plant Transfer Factors (TFs) are commonly used to estimate the food chain transfer of chemical elements. The entry of trace contaminants, such as potentially toxic trace elements (PTEs), from soil, into human food chains, is controlled in the long term by their uptake by plant roots. Some PTEs in the soil-plant system were studied through the TFs in an olive orchard in southern Italy. Soil samples and olive leaves were collected and analysed for Cd, Co, Cr, Cu, Mn, Ni, Pb, Zn by using Inductively Coupled Plasma-Mass Spectrometry (ICP-MS). In addition, pH, electrical conductivity, organic matter, clay content and cation exchange capacity were measured in soil samples. Factor of trace elements from soil to olive plants showed average value

Negli ultimi anni l'attenzione di molti gruppi di ricerca è stata rivolta allo studio delle microalghe come potenziale materia prima per la produzione di biocarburanti. Infatti l'ottimizzazione del processo produttivo a partire dalle microalghe potrebbe fornire una valida alternativa all'utilizzo dei combustibili fossili risultando al tempo stesso economica ed ecosostenibile. Nell'ottica di progettazione di un impianto dedicato allo sfruttamento di biomassa algale, devono essere necessariamente valutati gli impatti ambientali legati alle fasi di coltivazione, raccolta, trasformazione, distribuzione, impiego e smaltimento della biomassa stessa. In linea di massima la produzione di biodiesel da oli vegetali richiede grande dispendio di energia ed estese superfici agricole. Da ciò derivano costi molto elevati; infatti è stato calcolato che il costo delle materie prime inciderebbe per circa il 70 - 85% dell'intero costo di produzione (Miao & Wu, 2006). Nel caso dell'impianto di Marina di Gioiosa Jonica, gli impatti sono stati determinati in relazione alle effettive caratteristiche e condizioni operative del sistema prototipale stesso. I principali impatti analizzati sono riconducibili alle risorse idriche, all'uso del suolo, all'uso di fertilizzanti e nutrienti in genere, alla fertilizzazione carbonica, all'uso di combustibili fossili, all'eutrofizzazione, alla problematica delle alghe geneticamente modificate, ai fenomeni di tossicità delle alghe (Wijffels e Barbosa, 2010; Acquafuels, 2010) ed ai ceppi di microalghe utilizzate.

Per limitare l'utilizzo di carburanti derivanti dal petrolio, che contribuiscono al riscaldamento globale e sono disponibili in numero limitato, è necessario studiare ed individuare fonti alternative di approvvigionamento, green e rinnovabili, da destinare alla produzione di biocarburanti. Lo studio effettuato nel presente lavoro ha aperto una nuova strada verso la produzione di microalghe all'interno di un impianto dimostrativo su scala pseudo-industriale da destinare alla produzione di bio-olio e altri output finali quali energia e prodotti a maggiore valore aggiunto. Le microalghe rappresentano una valida alternativa non solo alla produzione di carburanti di origine fossile, ma anche ai biocarburanti di prima generazione che utilizzano piante superiori prodotte tramite i normali metodi di coltivazione. Però, al momento non esistono processi produttivi in grado di fornire quantitativi di biodiesel adeguati ad una scala produttiva elevata e che garantiscano un bilancio positivo dal punto di vista economico ed energetico. I punti critici sono rappresentati soprattutto dai processi per la separazione della biomassa microalgale dal mezzo acqueo di coltura e dall'estrazione dell'olio contenuto nelle microalghe, ancora molto costosi per grandi quantitativi. Il sistema studiato ha tentato di superare queste criticità, focalizzandosi sull'individuazione di un metodo semplice da utilizzare, con il minimo impiego di risorse energetiche e con un'alta riproducibilità ed esportabilità. Quest'ultimo aspetto diventa fondamentale per poter replicare le metodologie di coltivazione studiate anche in altre realtà, soprattutto quelle del bacino del Mediterraneo che presentano caratteristiche climatiche ed ambientali molto simili al sito di installazione dell'impianto prototipale. I risultati raggiunti sono stati soddisfacenti; le soluzioni individuate, seppure rispondono positivamente in particolare ai problemi di dewatering e di estrazione degli olii, per poter essere effettivamente implementate richiedono ancora un ulteriore step di ottimizzazione.