In molti paesi sviluppati, drammatici cambiamenti nelle società e nelle strutture economiche si sono verificati nel corso degli ultimi anni. Questi processi implicano anche cambiamenti nella disponibilità di risorse naturali e nella configurazione del paesaggio con impatti sulla qualità dell’ambiente. A titolo di esempio, i cambiamenti avvenuti dal secondo dopoguerra ad oggi, nella struttura delle economie dei paesi Mediterranei hanno causato pressioni su ecosistemi fragili, soprattutto nelle aree più sensibili ed economicamente svantaggiate, e su territori tradizionalmente polarizzati. Tali cambiamenti, dovuti a cause bio-fisiche e antropogeniche destano una sempre maggiore attenzione nelle scienze sociali, discipline interessate a mettere in luce le possibili conseguenze del degrado degli ecosistemi sulla popolazione e sui sistemi economici, nonché la risposta delle società locali a tali cambiamenti. Incertezza e rischio vengono pertanto interpretati come concetti chiave di questo percorso interpretativo che riguarda, in modo integrato, le dinamiche economiche, i cambiamenti sociali e l'azione politica. Configurandosi come un problema sociale ed economico al tempo stesso, il degrado delle terre appare correlato al nostro sistema di produzione e consumo che si fonda su una nozione di progresso, a lungo predominante, incentrata sull’espansione quantitativa dei beni prodotti e del loro consumo, in base al principio secondo il quale la crescita economica comporterebbe automaticamente un aumento del benessere sociale. Ciò pone al centro dell’attenzione una riflessione sul nostro stesso modello di sviluppo e la necessità di un suo ripensamento in direzione della costruzione di un “benessere umano sostenibile”. Quest’ultimo parte dal presupposto che il miglioramento delle condizioni di vita non dipende solo dalla disponibilità crescente di beni ma anche dall’equità distributiva della ricchezza prodotta e dalla riduzione degli impatti sull’ambiente, in modo da garantire la stabilità del benessere nel tempo, sulla base di un’etica di equità intergenerazionale che impone di non compromettere la capacità delle generazioni future di usufruire delle risorse che oggi sono a disposizione delle generazioni attuali. Il dibattito sull’organizzazione e l’infrastrutturazione del territorio è pure particolarmente vivace nel contesto Europeo e Mediterraneo in particolare, caratterizzato spesso da una ridotta accessibilità delle aree interne, collinari e montane, che influenza negativamente il loro sviluppo. D’altra parte, innumerevoli segni ha lasciato lo sviluppo economico sul paesaggio Italiano, che ha cominciato a perdere già dal secondo dopoguerra i connotati della ruralità diffusa che lo avevano caratterizzato nella prima metà del secolo scorso, per trasformarsi in contesti progressivamente urbanizzati e spesso ad elevata infrastrutturazione. I fenomeni di crescita urbana e di littoralizzazione investono le grandi aree urbane della pianura Padana e gli agglomerati – senza soluzione di continuità – di Roma e Napoli, come pure le coste pugliesi e siciliane, la maremma tosco-laziale, l’intero litorale adriatico dalla Romagna fino al Molise. Negli stessi anni, l’agricoltura intensiva della monocultura e della zootecnia industriale si alterna all’insediamento industriale ad elevata densità, manipolando i tratti tipici del paesaggio e creando un mosaico 'entropico' di usi del suolo, con una coesistenza di tratti urbani e rurali che restituisce territori indistinti e frammentati, riducendo quella qualità che è una delle dotazioni di capitale più promettente per le possibilità future di crescita. Con loro vengono meno quei territori, marginali e, al tempo stesso, ad alta vocazione paesaggistica, che hanno conservato per anni, anche durante il ‘boom’ economico, i caratteri di ruralità e biodiversità compromessi da uno sviluppo recente più esile, ma anche più diffuso e spazialmente capillare. In quest’ottica, la desertificazione è oggi una delle questioni ambientali e socio-economiche più complesse che le nostre società sono chiamate ad affrontare, con importanti implicazioni sullo sviluppo sostenibile e sull’organizzazione spaziale del territorio. Se, da un lato, il tema è stato spesso al centro dell’attenzione dei media, dei decision makers e dell’opinione pubblica, dall’altro, si deve notare il carattere tendenzialmente ciclico di tale interesse, corrispondente allo scoppiare di situazioni emergenziali legate principalmente ad episodi prolungati di siccità e alla scarsità idrica, fenomeni peraltro facilmente (ma talvolta erroneamente) associati al tema del cambiamenti climatici. Tale interesse ha, pertanto, fatto concentrare l'attenzione del grande pubblico verso la relazione desertificazione-clima (e più in generale verso i fattori bio-fisici alla base della desertificazione), facendo trascurare, invece, l'importante ruolo giocato dai fattori sociali, economici, culturali, politici ed istituzionali. Tale ruolo, messo alla ribalta dalle dinamiche più recenti a varie scale di osservazione, necessita di approcci dedicati dal punto di vista scientifico e di una divulgazione più consapevole e meno sensazionalistica. La grande eterogeneità dei processi di degrado delle terre nel Mediterraneo complica il monitoraggio e limita lo sviluppo di azione efficaci di contrasto (Conacher e Sala 1998). L'interesse per questi problemi è stato rinnovato negli ultimi venti anni. A partire dalle esperienze progettuali finanziate dalla Comunità Europea, diversi studi hanno considerato il degrado delle terre come un concetto composito, che descrive come uno o più componenti del capitale naturale sia peggiorato nel tempo, dal punto di vista quantitativo o qualitativo. Negli ultimi anni appare, inoltre, in aumento l'interesse verso uno studio più sistematico, rispetto al passato, dei fattori socio-economici che interagiscono con il capitale naturale (principalmente suolo ed acqua) e che ne determinano un’eventuale degradazione, attraverso l’uso di approcci sia teorici che empirici. Tuttavia, nonostante alcuni contributi scientifici, la relazione tra sviluppo sostenibile, disparita’ territoriali e degrado delle terre appare ancora sostanzialmente non esplorata nel bacino del Mediterraneo. In particolare, appare di interesse l’esplorazione e l’interpretazione, su base quali-quantitativa, delle tendenze recenti nell’evoluzione spaziale del livello di vulnerabilita’ alla desertificazione in Italia, attraverso uno studio mirato all’individuazione delle disparita’ territoriali che conducono ad un accresciuto livello di degrado, con riferimento sia a variabili di natura bio-fisica che socio-economica. Questo lavoro di tesi affronta questi temi con un approccio esplorativo e discutendo la relazione, sempre piu’ attuale tra processi di degrado delle terre, rischio di desertificazione, assetto del territorio e disparita’ territoriali a scala nazionale, in un contesto fragile dal punto di vista ambientale come quello Italiano. Il contributo, attraverso una disamina accurata dal punto di vista geografico di numerose variabili predisponenti il livello di degrado delle terre, ha esaminato le tendenze recenti del rischio di desertificazione in Italia, con uno specifico focus dal 1960 al 2010, attraverso l’analisi di quattro dimensioni di ricerca (clima, suolo, vegetazione e uso del suolo, pressione antropica) descritte tramite specifici indicatori comparabili sull’intero territorio nazionale e disponibili ad una scala di dettaglio spaziale sufficientemente dettagliata, secondo le indicazioni del modello interpretativo ESAI (Environmentally Sensitive Area Index) sviluppato nell’ambito di progetti comunitari di ricerca quali le azioni MEDALUS, che hanno rappresentato il cuore della letteratura geografica, ambientale e socio-economica sulla desertificazione nel bacino del Mediterraneo. L’analisi quantitativa dei risultati ottenuti, unita ad una rassegna delle evidenze empiriche gia’ disponibili sull’Italia, mette in luce una progressiva complessificazione della geografia del degrado delle terre in Italia a seguito dell’azione congiunta di numerosi determinanti sia a carattere bio-fisico che socio-economico. Tale quadro e’ stato messo in relazione con il lento consolidamento delle disparita’ territoriali in termini socio-economici, evidenziando inoltre come le policy a scala nazionale non siano ancora del tutto pronte a recepire le nuove sfide legate alla multiscalarita’ e ad un’azione necessariamente piu’ congiunta e integrata su obiettivi plurimi di mitigazione e adattamento, che possono traguardare le diverse dimensioni della sostenibilita’.