Search

si descrivono i dati relativi ad un campioni di pazienti affetti da disturbo psicotico all'esordio, come parte del progetto SGAP (Sicilian Genetic and Psychosis. tra i fattori di rischio implicati nell'insorgenza del disturbo si prende in esame il ruolo del consumo di cannabis mettendo a confronto i pazienti con un gruppo di cntrollo costituito da soggetti non psicotici. Emerge come l'età media di insorgenza del disturbo psicotico è stata più precoce per coloro che avevano fumato cannabis nel corso della vita (24.2 anni vs. 31.6 anni) mentre non è stata riscontrata nessuna differenza in relazione all'uso recente di cannabis.

• The chapter focuses on premorbid Intellectual Quotient (IQ) in cannabis users, one of the most controversial topics in studies on the harmful effects of cannabis use on cognition. • Several studies have ascertained acute and residual effects of cannabis use in the memory domain, but only a minimal general cognitive effect after a long-term period of abstinence. • A number of longitudinal studies were able to obtain IQ measures before and after cannabis consumption, but they yielded discordant findings. • Authors, however, observed a relationship between higher premorbid IQ and recreational or discontinued use while a lower premorbid IQ resulted as a predictor for regular or heavy cannabis use. • Studies on cannabis use and cognitive impairment associated with schizophrenia paradoxically found better IQ among patients with cannabis use lifetime. • At the end of the chapter, authors proposed a conceptual table to summarize the complex relationship between premorbid IQ and cannabis use in determining different outcomes, by sustaining the hypothesis of a shared genetic vulnerability to psychosis and cannabis use,which is reflected on premorbid IQ and able to influence the contact with the substance. • In turn, cannabis may be a trigger for psychosis towards this continuum of a neurodevelopmental vulnerability.

Circa 1 persona su 20 affetta da schizofrenia morirà prematuramente per suicidio (Inskip, Harris, e Barraclough, 1998; Palmer, Pankratz, e Bostwick, 2005) e si stima che il 20% 50% realizzerà almeno un tentativo di suicidio nel corso della vita (Caldwell & Gottesman, 1990; Meltzer, 2002). La maggior parte dei suicidi portati a termine si verificano precocemente nel corso della malattia, con un rischio particolarmente alto nelle prime settimane dopo la dimissione dal primo ricovero (Appleby, Dennehy, Thomas, Faragher, e Lewis, 1999; Rossau & Mortensen, 1997), seguite dal primo anno e dai primi dieci anni dopo la diagnosi (Nordentoft et al, 2004; Palmer et al, 2005). Anche il periodo precedente alla prima presentazione è particolarmente critico, poiché fino al 10% degli individui commette almeno un tentativo di suicidio, prima di accedere per la prima volta alle cure psichiatriche (Clarke et al, 2006; Melle et al, 2006). La gestione del comportamento suicidario rappresenta una questione importante per la pratica clinica, soprattutto perché la gravità dei tentativi di suicidio (Harkavy- Friedman et al., 1999) realizzati dagli individui affetti da schizofrenia può avere conseguenze ugualmente devastanti per il paziente e la sua famiglia. Il comportamento suicidario nella schizofrenia può essere cronico o intermittente e richiede un monitoraggio continuo da parte di medici, pazienti e loro familiari e amici. È importante identificare i potenziali fattori di rischio per ogni singolo paziente e intervenire prima che si intensifichi il comportamento suicidario. È importante non farsi prendere dal panico e non rinunciare di fronte a pazienti con grave malattia mentale, dal momento che il miglioramento e il raggiungimento della qualità della vita desiderata può essere un impegno a lungo termine che offre gratificazioni significative. La comunicazione con i colleghi può aiutare il clinico nei momenti di preoccupazione per il rischio suicidario ed è altrettanto importante una comunicazione diretta con il paziente. I trattamenti farmacologici e sociali per la psicosi, la depressione e le altre condizioni di comorbidità sono in grado di prevenire o ridurre il comportamento suicidario. Il comportamento suicidario è un sintomo della schizofrenia che può essere affrontato con attenzione e cura. Migliorare la qualità della vita per le persone con schizofrenia dà la possibilità di ridurre il rischio di comportamenti suicidari.

La capacità di riconoscere le emozioni facciali fa parte del più ampio dominio relativo alla cognizione sociale. Nel disturbo schizofrenico è presente un deficit dell’esperienza emotiva e dell’espressione appropriata delle emozioni. Numerosi studi hanno riscontrato in questi soggetti deficit a carico della capacità di riconoscimento delle emozioni facciali nonché della modulazione emotiva della voce. L’obiettivo dello studio è stato quello di indagare la presenza di un deficit a carico del riconoscimento delle emozioni facciali nei soggetti con esordio psicotico, posti a confronto con un gruppo di controlli sani. In particolare, si ipotizza nei pazienti una relazione tra il deficit di riconoscimento delle emozioni facciali ed un adattamento sociale premorboso compromesso. Nelle nostre analisi ci siamo posti almeno tre obiettivi: valutare l’adattamento sociale premorboso in pazienti e controlli; valutare le capacità di riconoscimento delle emozioni facciali in pazienti e controlli; osservare il ruolo dell’adattamento sociale premorboso nelle capacità attuali di riconoscimento delle emozioni facciali nei pazienti all’esordio psicotico rispetto ai controlli. Il campione preliminare è formato da 159 palermitani, 59 casi e 100 controlli, confrontabili in base al genere ed all’età, (mediamente 30 anni). Tutti i soggetti sono stati intervistati servendosi di un’ampia batteria testologica, somministrata in modo omogeneo nei diversi centri dello studio EU-GEI, indagante in modo completo i più riconosciuti fattori ambientali e genetici che giocano un ruolo nell’ambito della schizofrenia. Ai fini delle presenti ipotesi di ricerca sono state selezionate le risposte fornite al Degraded Facial Affect Recognition Task (DFAR) (van’t Wout, Aleman, Kessels, Laroi, & Kahn, 2004), impiegato per valutare la capacità di riconoscimento delle emozioni facciali ed alla Premorbid Adjustment Scale (PAS) (Cannon-Spoor, Potkin, & Wyatt, 1982) una delle scale di valutazione retrospettiva più utilizzate per indagare il livello di adattamento premorboso in cinque aree fondamentali. In tutti i modelli proposti, l’appartenenza al gruppo dei pazienti risulta spiegare la maggior parte della varianza nel numero di errori commessi al riconoscimento delle emozioni facciali. Ciò significa che, indipendentemente dal livello di compromissione sociale, i pazienti tendono a fare significativamente più errori dei controlli. Tuttavia, l’interazione con i pari nella prima adolescenza mostra di avere un’influenza negativa sul deficit di riconoscimento delle emozioni. Ciò significa che sia l’essere un paziente che l’avere avuto un maggior livello di compromissione sociale con i pari nella prima adolescenza, influenza negativamente la capacità di riconoscere le emozioni facciali, con una buona probabilità che quest’ultimo effetto sia maggiore nei pazienti rispetto ai controlli. I risultati esposti, seppur preliminari, sembrano supportare l’ipotesi di un probabile ruolo giocato dall’adattamento sociale premorboso, evidenziabile a 16 anni nel rapporto con i pari, nelle capacità attuali di riconoscimento delle emozioni facciali. L’idea immediatamente suggerita dal lavoro è quindi quella di utilizzare programmi di alfabetizzazione emotiva nella cura e riabilitazione del paziente per una presa in carico del suo disagio relazionale e supportare i programmi di educazione affettiva nel periodo scolastico, per consentire al bambino di imparare a riconoscere ciò che prova e ciò che potrebbero provare gli altri. In particolare si potrebbero avviare dei programmi che mirino allo sviluppo delle capacità di riconoscere le proprie emozioni, verbalizzarle e gestirle e che abbiano come obiettivo lo sviluppo delle capacità di empatia e di relazione.

Il problema della violenza nelle persone affette da schizofrenia pone spinosi dilemmi clinici e sociali. Da una parte, il comportamento aggressivo nella schizofrenia può essere una pericolosa, anche se rara, complicanza della malattia. I medici sono tenuti ad anticipare, valutare, gestire e ridurre i rischi di violenza dei loro pazienti, con interventi e trattamenti adeguati. D’altra parte, pazienti psichiatrici capaci di decidere autonomamente, spesso riducono o sospendono il trattamento nel corso del tempo, il che è un loro diritto, e in ogni caso molte cause di violenza non possono essere trattate con i farmaci (Swanson et al., 2008a). Inoltre, concentrarsi semplicemente sul potenziale di violenza dei pazienti, può rappresentare una grossa limitazione nel passaggio verso la “normalizzazione” dei servizi di salute mentale nel territorio; ciò potrebbe addirittura rafforzare la deleteria percezione comune che gli individui affetti da patologie mentali siano pericolosi in generale, e quindi può contribuire indirettamente al rifiuto sociale ed allo stigma di cui le persone con disabilità psichiatriche continuano a fare esperienza nel territorio. I pazienti affetti da schizofrenia non sono, per la maggior parte, violenti. Tuttavia, la malattia conferisce un elevato rischio di violenza in confronto alla popolazione generale. Il rischio è ulteriormente aumentato da concomitanti disturbi da uso di sostanze e dalla non-aderenza al trattamento. La violenza nella schizofrenia è eziologicamente eterogenea. Le evidenze empiriche supportano almeno due sottotipi alternativi di violenza nella schizofrenia: uno in pazienti con storia di comportamenti antisociali nell’infanzia e un altro in pazienti senza questo fattore di rischio. I sintomi psicotici positivi sono legati alla violenza nel secondo sottotipo, ma non nel primo. Questa eterogeneità ha implicazioni in termini di gestione clinica. La violenza nei pazienti schizofrenici con storia di problemi della condotta nell’infanzia è probabilmente meno responsiva al trattamento farmacologico, e gli approcci non farmacologici aggiuntivi sono particolarmente appropriati nei pazienti in cui la violenza persistente non ha risposto ai soli farmaci. Esistono programmi cognitivo comportamentali promettenti. Una gestione efficace deve comprendere la capacità di avere a che fare con i disturbi da uso di sostanze in comorbilità e ogni sforzo deve essere concentrato nel mantenere l’aderenza al trattamento. Il trattamento farmacologico dell’agitazione acuta e dell’aggressività si basa su forme iniettabili di farmaci antipsicotici atipici (ziprasidone, olanzapina e aripiprazolo). Anche il lorazepam è ampiamente utilizzato, a volte in combinazione con l’aloperidolo. La clozapina è il farmaco di prima linea per il trattamento farmacologico a lungo termine del comportamento violento persistente nella schizofrenia. Altri antipsicotici hanno anche degli effetti anti-aggressivi, ma questi sono meno consistenti. Sono stati sperimentati gli anticonvulsivanti, il litio, i beta-bloccanti e gli SSRI, ma le prove per la loro efficacia anti-aggressiva sono limitate.

Introduction There are strong enough evidences of the fact that risk of psychosis is augmented by cannabis use. In a recent analysis, the strongest predictor of case-control status was daily-skunk use, i.e. the ORs for skunk users increase with the frequency of use5. We know also that FEP who smoked cannabis in their lifetime are less neuropsychologically impaired i.e. they have better premorbid and current IQ6. In this study we wanted to test what augments the probability to be everyday users, taking into account premorbid social and academic adjustment and cognition as predictors, along with age at first cannabis-use and % of THC in cannabis used. Methods The sample was made of 834 First Episode Psychosis (FEP) cannabis-using and non-using patients from different European countries and 1.061 healthy controls, as part of the EUGEI-STUDY. A logistic regression was computed, using frequency of cannabis use among those who reported to have used cannabis in their lifetime, as an outcome variable in order to estimate the risk to be an everyday-user (heavy user) or a less-than-everyday user (recreational user), taking into account a list of predictors: sociodemographics, age at first cannabis-use, % of THC, premorbid social factor (PSF), premorbid academic factor (PAF), extracted from the Premorbid Adjustment Scale (PAS) and the four scales of WAIS-brief version. Results The risk to be an everyday-smoker was higher for cases, in interaction with age at first use, i.e. while the risk of controls diminishes when age at first use increases, this is not true for cases, whose risk stay higher even when age at first use increases (OR=1.2, p=0.001, CI 95% 1.09, 1.45). THC absolute concentration >10% augmented almost 2 folds the risk to be an everyday-smoker (OR=1.8, p=0.001, CI 95% 1.29, 2.60). A lower premorbid academic adjustment (OR=0.8, p=0.040, CI 95% 0.68, 0.99) and higher premorbid social adjustment before 16 years (OR=1.6, p=0.019, CI 95% 1.08, 2.60) increased the risk to be a heavy cannabis user, along with having a lower education level and being unemployed (all p

PURPOSE: Cannabis use is associated with an earlier age of onset of psychosis (AOP). However, the reasons for this remain debated. METHODS: We applied a Cox proportional hazards model to 410 first-episode psychosis patients to investigate the association between gender, patterns of cannabis use, and AOP. RESULTS: Patients with a history of cannabis use presented with their first episode of psychosis at a younger age (mean years = 28.2, SD = 8.0; median years = 27.1) than those who never used cannabis (mean years = 31.4, SD = 9.9; median years = 30.0; hazard ratio [HR] = 1.42; 95% CI: 1.16-1.74; P < .001). This association remained significant after controlling for gender (HR = 1.39; 95% CI: 1.11-1.68; P < .001). Those who had started cannabis at age 15 or younger had an earlier onset of psychosis (mean years = 27.0, SD = 6.2; median years = 26.9) than those who had started after 15 years (mean years = 29.1, SD = 8.5; median years = 27.8; HR = 1.40; 95% CI: 1.06-1.84; P = .050). Importantly, subjects who had been using high-potency cannabis (skunk-type) every day had the earliest onset (mean years = 25.2, SD = 6.3; median years = 24.6) compared to never users among all the groups tested (HR = 1.99; 95% CI: 1.50- 2.65; P < .0001); these daily users of high-potency cannabis had an onset an average of 6 years earlier than that of non-cannabis users. CONCLUSIONS: Daily use, especially of high-potency cannabis, drives the earlier onset of psychosis in cannabis users.

Background: Several studies report that patients with psychosis who used cannabis have a better cognitive performance than those whodid not (Rabin et al. 2011). In a previous study we found out a higher premorbid IQ, and a better IQ in psychotic patients who smoked cannabis in their lifetime, and our findings were consistent with the idea that this association is due to a better premorbid functioning rather than to an ameliorative effect of cannabis use on cognitive performance (Ferraro et al., 2013). A number of authors have hypothesized that psychotic patients who consume cannabis constitute a differentiated subgroup of patients that have better cognitive and social skills, necessary to engage in illegal drug consumption, than non-using patients (Compton et al., 2011; Løberg et al., 2014; Arnold et al., 2015). Given that the prevalence, and patterns, of cannabis use are culturally driven, we wanted to test the hypothesis of a better premorbid functioning in First Episode Psychosis (FEP) cannabis-using and non-using patients coming from different European countries (England, Italy, Spain, France, the Netherlands) as part of the EUGEI-STUDY. Methods: 1.745 people (746 cases; 999 controls) completed the assessment for Intellectual Quotient (IQ) (WAIS-brief version) premorbid adjustment (Premorbid Adjustment Scale – PAS) and cannabis use (CEQ-Revised). We first performed a factor analysis on PAS components, by obtaining two main factors: “Premorbid Social Adjustment” (PSA) and “Premorbid Academic Adjustment” (PAA). We therefore performed linear mixed models with IQ, PSA, and PAA as dependent variables and cannabis lifetime (Yes/No), subject status (Cases/Controls), gender and age as independent variables. Results: Across all countries, IQ was higher in those patients who smoked cannabis in their lifetime compared to those who did not (P = 0.027). This IQ difference was only 3 points and was the same for cases and healthy controls (P = 0.949). Similarly, patients who had smoked cannabis in their lifetime showed better PSA scores than non users (P = 0.009). The difference in PSA score between cannabis-users and non-users was significantly greater in cases than controls (P = 0.038). Conversely, across all countries, PAA resulted worst in patients who smoked cannabis lifetime than patients who did not (Po0.001) and this PAA score difference was the same for cases and controls (P = 0.693). Discussion: Our cannabis-using FEP patients have higher IQ, better PSA and lower PAA than non user patients across 5 different European countries. Starting from these preliminary results, we can conclude that a better PSA is significantly associated with cannabis use in FEP patients. Nevertheless, in an exploratory analysis, a better IQ resulted related to a better PAA (o0.001) but not to PSA (P = 0.260); thus indicating an independent relationship of IQ and PSA with cannabis use. Further analysis are required in order to model these multivariate relationships.

Il capitolo descrive Il progetto “Interventi Psicologici e Riabilitativi nei Reparti ad alta Criticità” Nato da una collaborazione tra l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone” dell’Università degli Studi di Palermo e l’Assessorato della Salute della Regione Sicilia, si è inscritto nel Progetto Obiettivo di Piano Sanitario Nazionale (intesa Stato Regione del 20/04/2011) con l’obiettivo di rispondere all’esigenza di ascolto e sostegno che molte persone sperimentano attraversando momenti critici, in grado di mettere a dura prova la loro qualità di vita. Avvalendosi di una equipe di psicologi che, nel primo anno ha annoverato tre unità, affiancate da un Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica e che si è arricchita di ulteriori sei unità nella seconda annualità, ha operato in seno ai diversi reparti del Policlinico, con l’obiettivo di offrire interventi di prevenzione e presa in carico del disagio psicologico. Oltre al tempo ed al numero di interventi effettuati tra il gennaio 2013 e l'ottobre 2014 si esaminano gli obiettivi raggiunti e quelli da raggiungere. I punti di forza del progetto possono essere, in sintesi riassunti come segue: 1. L’attivazione del progetto è stata in grado di stimolare una sensibilizzazione importante in molte delle Unità Operative coinvolte nella fase di pubblicizzazione, facendo sorgere la richiesta di una presenza mensile per il monitoraggio degli utenti di alcune di esse (ad es. Malattie Infettive, Ambulatorio di Terapia del Dolore ed Audiologia). 2. I pazienti inviati in consulenza erano in effetti portatori di un disagio psicologico cui è stato prestato ascolto. 3. Gli interventi effettuati si sono dimostrati benefici in termini di outcome sintomatologico.

Introdução: O Transtorno do Espectro do Autismo (TEA) é definido como uma alteração comportamental de etiologias múltiplas com presença de alterações qualitativas e quantitativas na comunicação e interação social, bem como comportamentos, interesses e presença de atividades repetitivas e restritas. Toda criança com diagnóstico do Espectro do Autismo apresenta, em maior ou menor grau, desordens na linguagem, manifestando ou não a linguagem verbal, dependendo da gravidade e classificação associada á patologia. A avaliação do perfil sócio-cognitivo é fundamental para caracterização do quadro do Espectro do Autismo. Objetivo: O objetivo deste estudo foi descrever o perfil funcional da comunicação e o desempenho sócio-cognitivo em crianças em grupos com diferentes apresentações de TEA, na faixa etária de 2 a 12 anos, de ambos os sexos, da Associação de Amigos do Autista da Bahia (AMA-Ba). Material e Métodos: Este estudo foi realizado com 40 crianças da AMA-Ba, na cidade de Salvador-Bahia, no período de novembro de 2013 a maio de 2014. Para avaliar a funcionalidade da comunicação foi utilizado o Teste de Perfil Funcional da Comunicação e para avaliação sócio-cognitiva foi utilizado a Avaliação Sócio-Cognitiva. Resultados: Os resultados mostraram que ao comparar o perfil funcional da comunicação e desempenho sócio-cognitivo nas diferentes apresentações do autismo, foi possível verificar que existe um perfil sócio-comunicativo homogêneo com alterações significativas na pragmática e nos aspectos sócio-cognitivos. Conclusões: Esses achados mostram que, neste estudo, foi verificada a existência de um fenótipo sócio-comunicativo linear independente da presença de hiperatividade e da gravidade do autismo.

Purpose: several studies report that patients with psychosis who used cannabis in their lifetime have a better cognitive performance than those who did not and this association is most likely due to a better premorbid functioning. We aimed to test the hypothesis of a better premorbid functioning in First Episode Psychosis (FEP) cannabis-using and non-using patients coming from different European countries. Materials and Methods: 1.745 people (746 cases; 999 healthy controls) completed the assessment for Intellectual Quotient (IQ) (WAIS-brief version) premorbid adjustment (Premorbid Adjustment Scale – PAS) and cannabis use (CEQ-Revised). We first obtained two main factors from PAS: “Premorbid Social Adjustment” (PSA) and “Premorbid Academic Adjustment” (PAA). We therefore performed linear mixed models with IQ, PSA, and PAA as dependent variables and cannabis lifetime (Yes/No) and subject status (Cases/Controls) as independent variables. Results: across all countries, IQ was higher in cannabis users patients compared to non users (p=0.027). Conversely, PAA resulted worst in cannabis-users patients than non users (p

OBJETIVOS: Debido a la falta de un programa para la evaluación externa de la calidad del tamizaje de infecciones transmisibles por transfusión (ITT) en los bancos de sangre, el Servicio de Hemoterapia del Hospital Garrahan, de Buenos Aires, Argentina, inició en 1999 un programa continuo con el apoyo de la Organización Panamericana de la Salud (OPS) y la Asociación Argentina de Hemoterapia e Inmunohematología (AAHI). MÉTODOS: Se distribuyó un panel de 12 muestras con reactividad para todos los marcadores tamizados en los bancos de sangre argentinos. El panel se entregó a 52, 102 y 118 laboratorios en 1999, 2000 y 2001, respectivamente. Los laboratorios participantes se clasificaron según su desempeño en: A: menos de 2 resultados positivos falsos (RPF); B: de 2 a 3 PF; C: más de 3 RPF; y D: algún resultado negativo falso. Se efectuaron talleres con los participantes para analizar conjuntamente los resultados. RESULTADOS: Los porcentajes de respuesta de cada año fueron 92,3, 92,2 y 83,9, respectivamente; estos porcentajes de respuesta indican interés en las actividades de evaluación. Sin embargo, el promedio de los laboratorios con clasificación D resultó muy alto (30%), lo que evidencia la presencia de problemas en el desempeño del tamizaje de las ITT. Esto podría asociarse con la dificultad de tomar medidas correctoras en todo el sistema, dado el elevado número de laboratorios involucrados. CONCLUSIONES: Se deben incluir evaluaciones de este tipo en el Programa Nacional de Sangre para el diagnóstico continuo de la situación, la toma de decisiones y el seguimiento de la calidad del tamizaje.

Introduction: Cannabis is one of the most common substances used by patients with a first episode of psychosis. The aim of the study was to investigate the most frequent effects of cannabis use, their relationship with psychotic symptoms and characteristics of the consumption. Methods: 116 first episode psychosis were recruited, 50% of which (n=58) used cannabis lifetime. We investigated the characteristics of the consumption and the effects of cannabis using the Cannabis Experience Questionnaire-mv (CEQmv) and the psychotic symptoms using the Positive and Negative Symptoms Scale (PANSS). Results: The effects more often experienced by cannabis users were slowed down thinking and feeling to be able to understand the world better. Feeling fearful was associated with interruption of consumption (U= 287,500, p=0.046). Hearing voices was associated with more than 50 times lifetime cannabis use (U=223,00, p=0.043). In addition, we found correlations between feeling fearful and like going crazy after cannabis use and positive and general PANSS. Conclusions: Those who have experienced more psychotic-like effects of cannabis present stronger positive symptoms. In addition, awareness of negative effects involves the interruption of consumption. These evidences underline the importance of primary and secondary prevention regarding the effects of cannabis use among people at high risk for psychotic disorders.

La gestione del paziente oncologico in corso di trattamento radioterapico non può prescindere da un’attenta valutazione delle variabili soggettive legate all’emotività e al vissuto interno. Questo lavoro si pone gli obiettivi di indagare la presenza di alessetimia, ansia, depressione e qualità della vita in un gruppo di pazienti oncologici e di valutare in che termini l’introduzione di un intervento psicologico possa avere delle ricadute sul benessere psico-fisico.Il campione è costituito da 68 pazienti suddivisi, con modalità random, in un gruppo sperimentale (n= 45) e uno di controllo (n=23), reclutati presso due U.O di Radioterapia di Palermo e di Pisa. Entrambi sono stati valutati al T0 (prima del trattamento), T1 (inizio del trattamento), e al T2 (fine del trattamento). Il gruppo sperimentale è stato sottoposto ad un intervento psicologico-supportivo tramite la tecnica cognitiva del diario. Nel gruppo sperimentale abbiamo riscontrato una riduzione statisticamente significativa dei livelli di alessitimia (p

Classification of glaucomatous visual field defects for different severity levels is important. The reasons for this are numerous, and include: to distinguish between healthy and diseased individuals, to have homogeneous grouping criteria when perimetry is used to define the severity of glaucoma, to adjust therapy on the basis of disease severity, to describe visual field conditions in a short and simple format, to monitor the progression of the disease, and to provide a common language for both clinical and research purposes. Many severity classification methods have been proposed, although none have had widespread use in clinical practice. Other methods, like the cumulative defect curve (Bebie curve), can be used to distinguish the type of visual field loss as diffuse, localized, or mixed. This article provides a review of the main classification methods that have been proposed in the past 40 years.

Una buona capacità di insight pare costituire un fattore predittivo di minore espressività psicopatologica nei pazienti affetti da psicosi. In questo lavoro intendiamo analizzare le relazioni tra grado di insight e gravità dei sintomi psicotici utilizzando i punteggi totali e parziali ottenuti alla Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS) in un gruppo di pazienti affetti da psicosi all'esordio nell'ambito del progetto SGAP "Sicilian Genetic and Psychosis" svolto in collaborazione con il GAP Study dell'Institute of Psychiatry, King's College of London.

Introduzione: Un consistente numero di studi suggerisce un’elevata prevalenza di eventi traumatici nella storia di soggetti con disturbi psicotici (Shevlin et al, 2008). Piu’ che l’impatto di un singolo evento di vita stressante, l’esposizione cumulativa ad esperienze traumatiche sembra incrementare il rischio di psicosi (van Winkel et al, 2008). Scopo dello studio e’ valutare la prevalenza di tali eventi in soggetti al primo episodio psicotico a confronto con controlli sani e la possibile correlazione con la sintomatologia psicotica e l’età di esordio. Metodologia: In atto sono stati reclutati 74 soggetti al primo episodio psicotico (51 m, 23 f; em=26.39, ds=9.36) e 27 controlli sani (18 m, 9 f; em=25.93, ds=7.65). Sono state somministrate le seguenti interviste: CECA-Q (Bifulco et al, 2005) per la valutazione retrospettiva degli eventi avversi infantili; List of Threatening Experiences (Brugha et al, 1985) per la valutazione degli eventi di vita stressanti durante il corso di vita e la PANSS (Kay et al, 1987) per la valutazione della sintomatologia psicotica. Risultati e Conclusioni: I risultati preliminari mostrano una maggiore prevalenza nel gruppo dei primi episodi psicotici di almeno un evento di vita stressante nell’arco della vita (p

Introduzione: la durata di psicosi non trattata (DUP) nei pazienti affetti da psicosi all’esordio rappresenta un fattore predittivo dell’outcome e del decorso del disturbo (Perkins, 2005). La relazione tra consumo di cannabis e DUP è ancora controversa. In questo lavoro viene analizzato il rapporto tra DUP ed età di esordio, consumo di cannabis, funzionamento cognitivo, livello di istruzione e stato di occupazione in un gruppo di pazienti affetti da psicosi all’esordio reclutati nell’ambito dello studio SGAP (Sicilian Genetic and Psychosis) svolto in collaborazione con l’Institute of Psychiatry, King's College of London. Metodologia: sono stati reclutati 74 pazienti di età compresa tra 18 e 65 anni ai quali è stata somministrata una batteria di test composta da: Nottingham Onset Schedule (NOS-DUP), Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS) , Social Data Schedule, Cannabis Experience Questionnaire (CEQ), WAIS-R. Risultati: il campione, ancora in fase di reclutamento, è costituito da 74 pazienti (M=68,9%), età media 26,39 (DS=9,36). La durata media di psicosi non trattata è di 40,4 settimane, il 39,5%, dei pazienti ha fatto uso di cannabis nel periodo immediatamente precedente il ricovero. Nel nostro campione i pazienti che fanno uso di cannabis hanno una DUP più breve (p=0,023) e afferiscono ai servizi di salute mentale in età più precoce (p=0,064) rispetto ai non consumatori. Inoltre vi è una correlazione inversa tra DUP e QI (p=0,05). Non sono al momento emerse correlazioni significative tra DUP e severità dei sintomi, valutati attraverso la PANSS. Conclusioni: i nostri risultati, in linea con i dati di letteratura, supportano l’associazione tra consumo di cannabis ed esordio precoce dei sintomi psicotici. Inoltre il consumo di cannabis si associa ad una minore durata della DUP ma quest’ultimo dato sembra meritevole di ulteriori indagini.

Introduzione: Numerosi studi hanno evidenziato l’associazione tra traumi infantili e psicosi (Morgan, Fisher, 2007). Sebbene inizialmente fosse enfatizzato il ruolo dell’abuso sessuale, recentemente l’associazione con l’abuso fisico e’ stata riportata come piu’ forte (Fisher et al, 2010; Rubino et al, 2009). Scopi dello studio sono valutare la prevalenza di eventi avversi infantili in un campione di soggetti al primo episodio psicotico e la sua relazione con la psicopatologia e le funzioni cognitive. Metodologia: Sono stati reclutati 74 soggetti al primo episodio psicotico (51 m, 23 f; em=26.39, ds=9.36). Sono state somministrate le seguenti interviste e test: CECA-Q (Bifulco et al, 2005) per la valutazione retrospettiva degli eventi avversi infantili; PANSS (Kay et al, 1987) per la valutazione della sintomatologia psicotica; WAIS-R (Wechsler, 1981) per la valutazione delle funzioni cognitive. Risultati: I risultati preliminari mostrano un’associazione tra la presenza di gravi eventi avversi infantili e la sottoscala di psicopatologia generale della PANSS (p

Alcuni studi in letteratura supportano l’associazione tra consumo di cannabis, età di esordio ed espressività psicopatologica nei pazienti al primo episodio psicotico (Orlandi, 2001). Questo lavoro si propone di analizzare la gravità della sintomatologia psicotica in relazione al consumo di cannabis, confrontando due campioni di pazienti all'esordio psicotico (FEP) reclutati a Palermo e a Londra.

Quella del ponte è una figura simbolica di grande pregnanza e ricchezza di rimandi in ogni ambito culturale e scientifico. Le sue trasparenze ci aiutano a cogliere con intensa e precisa risonanza quei significati nascosti che rendono più intellegibili e apprezzabili molti aspetti della vita dell'uomo, dalla dimensione interiore a quella dei suoi prodotti tecnici, artistici e culturali. Spaziando dalle neuroscienze all'arte e dal mito alla psicopatologia, il volume si presenta come un'occasione per apprezzare le innumerevoli metafore che il ponte evoca alla nostra riflessione, intrecciando, ibridando e connettendo branche diverse del sapere. La proposta che offriamo al lettore è quella di considerare come ogni disciplina possa, al confine con altri settori della scienza e della cultura, avvalersi di stimoli fecondi e propulsivi, secondo una metodologia propria dell'approccio simbolico. L'attualità del libro va poi ricercata nel mito greco in cui il dio Hermes è il signore dei ponti, dei passaggi, dei transiti; capace della più profonda tenerezza e partecipazione ai fatti umani tristi e dolorosi, e nostro nume tutelare per il passaggio critico alla nuova cultura del III millennio.

Il trend attuale in campo epistemologico e teorico-concettuale aspira alla scoperta di linguaggi condivisi e condivisibili tra i diversi approcci psicoterapeutici. Spesso è accaduto che all’avvicinamento tra tecniche a matrice diversa non seguisse un accurato studio teorico orientato a definire e fornire un substrato concettuale a ciò che si era già rivelato utile nella pratica. Di contro, gli sviluppi delle neuroscienze hanno fornito oggi elementi molto utili alla comprensione di ciò che accade nelle stanze di psicoterapia; a partire dalla contestazione di antiche acquisizioni, date per consolidate, come la presunta incapacità della cellula neuronale di riprodursi e arborizzare in età adulta, fino alle più recenti ricerche sui neuroni mirror dell’uomo. Il presente contributo prova ad esporre brevemente l'integrazione tra due approcci psicoterapeutici diversi per radici e ispirazione: la Terapia Cognitiva di stampo razionalista di Aaron Beck ed Albert Ellis e la Guided Imagery and Music (GIM) di Helen Bonny, un metodo terapeutico che si avvale della musica come “primo terapeuta” e che trae le sue origini da tecniche di immaginazione attiva di tipo junghiano. L’intento è quello di fornire uno spunto di curiosità teorica che possa spiegare il perché del buon funzionamento di questa integrazione. Ancora una volta, è il mondo delle neuroscienze ad offrire un punto d’appoggio alle teorie che propongono che il nostro cervello elabori ed immagazzini gli stimoli attraverso un doppio codice (Paivio, 1971): un canale per l’elaborazione dell’informazione “semantico” o “logico” (linguaggio e simboli semantici), a sede prevalentemente corticale, e un canale “analogico” (emozione, metafora, evocazione) tipico del canale audiovisivo, motorio e corporeo, a sede prevalentemente sottocorticale e periferica.