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In the following work we propose a method for the regeneration of the sampling needle used in the Thermo Fischer Scientific Gas Bench II, part number 1137020.The introduction of the sample in the measurement system is one of the most important step for the realization of a good isotopic analysis. Today there are some devices in commerce that use special sampling needles, each developed by the manufacturer for its own needs. Almost all needles are connected to an auto sampler to automate sample collection. The auto­sampler is a mechanical arm that amplify the mechanical stresses due to the injection of the needle into the vials. These mechanical stresses can cause the curvature and consequent breaking of the internal capillary of the sampling needle. Frequently the breaking of the capillary lead to the replacement of the whole sampling needle with considerable operating cost. In this paper we propose an alternative method for the regeneration of the sampling needle, which consists in the use of cheap and easy tools., Nel seguente lavoro proponiamo una procedura per la rigenerazione dell’ago di misura impiegato nella periferica Thermo Fischer Scientific Gas Bench II. L’introduzione del campione nel sistema di misura è il primo passo per la realizzazione di una buona analisi isotopica. Specialmente quando si effettuano determinazioni isotopiche basate sullo scambio isotopico all’equilibrio di un elemento o specie chimica fra una fase liquida ed una fase gassosa, l’utilizzo dell’ago di misura per il prelievo del campione diventa un fattore critico. In quanto una possibile rottura, occlusione o contaminazione atmosferica durante l’introduzione può portare ad imprecisioni analitiche alcune volte molto elevate o nei casi più estremi ad una assenza del picco dell’analita nel cromatogramma. Oggi in commercio esistono strumenti che utilizzano dei particolari aghi di misura, ognuno sviluppato dalla casa produttrice per le proprie esigenze. Quasi tutti gli aghi sono connessi ad un auto­campionatore per automatizzare il prelievo del campione. Quest’ultimo essendo un braccio meccanico non fa altro che amplificare le sollecitazioni meccaniche (carichi di punta) dovute all’iniezione dell’ago nella provetta, che in alcuni casi può portare alla curvatura dell’ago e alla conseguente rottura del capillare interno. In più la corrosione da parte di vapori acidi e le occlusioni dovute ai residui di gomma dei setti delle provette deteriorano lo stato fisico dell’ago e ne aumentano l’usura. Malgrado tutte le opere di manutenzione riportate nei manuali, l’estremo deterioramento e la rottura sono fenomeni molto frequenti, comportando regolari sostituzioni con aghi dal costo elevato con conseguente aumento dei costi di esercizio del laboratorio. Molti tecnici e ricercatori di tutto il mondo discutono in rete attraverso forum specifici (vedi Isogeochem@list.uvm.edu) possibili metodi per la rigenerazione o riparazione dell’ago, utilizzando in alcuni casi parti non originali rimodulate e adattate con raccordi particolari e sofisticati [Colosi, 2009]. Nel seguente articolo viene proposta una procedura per la rigenerazione dell’ago di misura del Gas Bench II, part number 1137020, utilizzando strumenti facilmente reperibili e dal basso costo.

In un’area vulcanica attiva la presenza di superfici con temperature superiori rispetto alla norma locale è determinata dal flusso di calore prodotto in profondità. Un elevato flusso di calore orientato verso la superficie è la risultante di più processi naturali che tendono a controbilanciare gli elevati gradienti fisici (di pressione e temperatura) e chimici (differenze di composizione) inevitabilmente presenti fra il corpo magmatico e l’ambiente circostante. Il rilievo delle anomalie termiche di superficie dovrebbe suscitare quindi interesse scientifico, offrendo la possibilità di monitorare nel dettaglio uno dei parametri che ci permette di finalizzare un modello del sistema in esame, per la corretta interpretazione dei fenomeni naturali connessi all’attività magmatica ed idrotermale. Oltre alla finalità scientifica, il rilievo delle temperature di superficie in un’area vulcanica è una procedura utile per rispondere tanto a questioni legate alla sorveglianza vulcanica, quanto alla fruizione delle aree a scopo turistico. Spampinato et al. [2011] hanno pubblicato una revisione degli strumenti utilizzati in ambienti vulcanici per il rilievo delle temperature. Riportando diversi esempi in bibliografia la revisione ha posto l’attenzione sulla varietà di fattori che concorrono a sottostimare sensibilmente le temperature di superficie, rispetto alla reale condizione termodinamica del sistema quando si scelgono metodologie di remote sensing. Fra i diversi fattori si citano ad esempio effetti atmosferici di rifrazione e riflessione, presenza di aerosol, gas e vapore vulcanico lungo il cammino ottico dalla superficie al sensore, eterogenea distribuzione della temperatura all’interno del singolo pixel. Figura 1. Foto scattata durante il test effettuato nel campo fumarolico di alta temperatura sul cono attivo della Fossa di Vulcano. Il presente Rapporto Tecnico descrive un sistema strumentale, denominato Pirogips, dedicato all’acquisizione speditiva di dati termici di superficie [Diliberto et al., 2014]. Rispetto ad una telecamera ad infrarosso questa strumentazione risulta meno costosa, e di più facile utilizzo in prossimità di bocche esalative. La funzionalità ed operatività del sistema sono state testate mediante specifici test effettuati sia in ambienti controllati, sia in condizioni reali di acquisizione. Pirogips associa un sensore all’infrarosso ad un rilevatore di posizione satellitare ed è stato realizzato per consentire un rilievo di temperatura con caratteristiche intermedie, in termini di accuratezza della temperatura misurata e risoluzione areale, rispetto ai metodi di acquisizione diretta della temperatura con sensore termico di contatto (termocoppia) e di acquisizione indiretta, ottenuta attraverso il telerilevamento prossimale con il sensore ottico montato su telecamera. Il sensore del pirometro offre una risoluzione spaziale adeguata alla elevata variabilità areale della temperatura delle emanazioni fumaroliche. L’accuratezza è stata testata su diverse superfici esposte ed è risultata accettabile per la identificazione delle anomalie termiche di superficie in aree vulcaniche. Un datalogger preparato nel laboratorio elettronico di Palermo combina i parametri acquisiti e restituisce una stringa di dati per la visualizzazione su mappe georeferenziate. I dati registrati sono la posizione (latitudine e longitudine, WGS84), temperatura (derivata dal pirometro e/o da una termocoppia), temperatura ambiente, pressione barometrica e umidità dell’aria. I rilevi preliminari sono stati effettuati per verificare se le caratteristiche strumentali di Pirogips risolvono le problematiche derivanti dalla disomogeneità del terreno da rilevare. In particolare nel presente lavoro i dati riportati non sono stati rilevati lungo maglie geometriche, ma sono rilievi effettuati lungo percorsi predefiniti (strade e/o sentieri naturali). L’utilizzo di Pirogips consente di ridurre notevolmente i tempi del rilievo di temperatura superficiale, rispetto all’acquisizione del parametro con metodo di contatto. L’uso di Pirogips inoltre aumenta la possibilità di identificare anomalie termiche intense, ma poco estese, in quanto l’accuratezza del rilievo è determinata dalla posizione rispetto al piano di campagna (lente perpendicolare al piano e distanza inferiore ad 1 metro).

In geochimica, la distribuzione degli elementi nella crosta terrestre è definita in funzione della loro abbondanza. Si definiscono elementi maggiori quelli le cui concentrazioni sono esprimibili in percento, i minori sono presenti in concentrazioni comprese tra l’1 e lo 0.1%, mentre gli elementi in tracce sono quelli le cui concentrazioni sono inferiori allo 0.1%. Alcuni elementi come le terre rare (REE) si trovano sempre in tracce a prescindere dall’ambiente geologico, altri elementi come ad esempio lo stronzio (Sr) possono invece essere presenti in concentrazioni tipiche degli elementi minori o in tracce a seconda del tipo di ambiente. Lo studio delle concentrazioni degli elementi in tracce in campioni di acque meteoriche richiede attenzione fin dalle fasi iniziali. Il sistema di raccolta può introdurre errori positivi o negativi nelle misure degli elementi da analizzare. Possono essere introdotti contaminanti attraverso processi di lisciviazione delle pareti del contenitore e, viceversa, elementi in tracce presenti nelle acque campionate possono essere adsorbiti dalle pareti del contenitore, diminuendone la concentrazione nelle acque. Una scelta opportuna del materiale e della metodologia costruttiva del contenitore e del sistema di convogliamento delle acque è pertanto fondamentale per ridurre le eventuali contaminazioni degli analiti. Inoltre è necessario che non entri del particolato solido all’interno del contenitore. Il pluviometro generalmente utilizzato per il simultaneo campionamento della deposizione secca ed umida è composto da un imbuto e da una bottiglia in polipropilene (PP). L’imbuto largamente utilizzato è di tipo Büchner, costituito da due porzioni separabili che ne facilitano la pulizia (Figura 1). Un filtro di carta è inserito all’interno dell’imbuto, ed un disco in polietilene ad alta densità (HDPE) viene inserito tra il filtro di carta e il piatto perforato Büchner al fine di evitare l’otturamento dei fori (Figura 2). L’imbuto è poi fissato attraverso un foro sul tappo del contenitore. Il sistema filtro (piatto perforato, disco in HDPE e la carta da filtro) minimizza una prolungata interazione tra piogge e materiale grossolano. Usualmente, lo studio di elementi in tracce in acque meteoriche prevede un intervallo di campionamento quindicinale, molto difficile da applicare per ragioni logistiche ed economiche nelle isole vulcaniche, introducendo un problema ulteriore quale quello del dimensionamento del sistema di raccolta.