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Lo scorso giugno, l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) ha pubblicato il consueto aggiornamento semestrale sulle operazioni di Search and Rescue (SAR) nel Mediterraneo. Il documento evidenza le difficoltà di condurre le operazioni di salvataggio da parte delle imbarcazioni delle ONG, molte delle quali sono state (e continuano ad essere) sottoposte a procedimenti giudiziari e fermi amministrativi nelle giurisdizioni degli Stati membri dell’UE. Nel quadro del contrasto al traffico di migranti, infatti, è ormai impellente una riforma del Facilitator Package quantomeno nel senso di vietare agli Stati membri di criminalizzare l’attività di assistenza umanitaria delle ONG, come è stato evidenziato dalla Commissione europea con una importante Comunicazione dello scorso ottobre 2020.

Due vicende giudiziarie (i casi Vos Thalassa e Rackete), entrambe oggetto di notevole attenzione mediatica, oltre che di diversi commenti da parte della dottrina penalistica, consentono di ragionare sui rapporti che intercorrono tra diritto internazionale e diritto interno nel regime giuridico del dovere di soccorso in mare. Più precisamente, la lettura di tali vicende permette di fare alcune osservazioni sul rilievo che devono avere le norme internazionali quando il giudice penale nazionale sia chiamato a pronunciarsi in merito all’applicabilità delle scriminanti a beneficio di soggetti che si oppongono a ordini dell’autorità che impediscono il completamento delle attività di soccorso