Occupandosi del rapporto fra autorizzazioni e cause di giustificazione, questo saggio punta ad operare un’actio finium regundorum fra elementi che, nello scibile penalistico, sono stati sovente oggetto di confusioni e sovrapposizioni. In realtà, ciò che li separa è una differenza sia strutturale, sia funzionale. Sotto il primo profilo, la presenza positiva di un’autorizzazione (sott.: amministrativa), nel quadro di una fattispecie che incrimina la produzione di una data condotta in assenza della prescritta autorizzazione, è quanto vale ad attestare l’atipicità del comportamento assistito dall’autorizzazione medesima; ergo, a segnalarne l’originaria liceità. All’opposto, la ricorrenza di una vera e propria causa di giustificazione è quel che permette, a fronte di un fatto già tipico, di dare ingresso a interessi esterni, valutati come prevalenti rispetto a quelli lesi dal fatto tipico, che ne escludono, proprio per questa loro “caratura”, l’antigiuridicità. Sotto l’aspetto funzionale, poi, mentre il fatto che l’esercizio di determinate attività lecite sia subordinato, in chiave penalistica, al possesso della relativa autorizzazione comporta una restrizione dell’esplicazione delle medesime (si penso al dato che gli interventi di costruzione possono essere eseguiti soltanto in presenza del permesso richiesto: cfr. l’art. 10, T.U. edlizia), sì da dover essere collocate nell’area della c.d. “libertà condizionata”, la presenza di una scriminante accresce, invece, gli spazi di libertà, consentendo la realizzazione di fatti altrimenti –cioè ove questa non ricorresse— proibiti. In questo contributo si critica la qualificazione in termini di cause di giustificazione che testi normativi (cfr. la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 5 febbraio 1986, n. 1.1.2/17611/4.6) avevano attribuito ad autorizzazioni aventi l’effetto di rendere eccezionalmente lecite condotte ordinariamente vietate. Che il carattere dell’eccezionalità indotta dalle situazioni che vi corrispondono si abbini in modo assai problematico con una loro ricostruzione sub specie di cause di giustificazione, risulta da due ordini di considerazioni: in primo luogo, poiché le cause di giustificazione sono intese –almeno dall’opinione attualmente dominante— come norme generali dell’intero ordinamento giuridico, destinate a prevalere sugli interessi a tutela dei quali sono poste specifiche norme incriminatrici, la loro prevalenza è un dato di carattere generale, che l’asserito carattere dell’eccezionalità, che le si vuole riconoscere, contraddice palesemente. In secondo luogo, le note dell’eccezionalità, che si vorrebbe riservare al loro ingresso, le renderebbe insuscettibili, ex art. 14 Prel., di qualsivoglia applicazione analogica, questa essendo interdetta con riferimento, appunto, a norme eccezionali. Il che sarebbe fonte di un’insanabile aporia a fronte dell’ammissibilità del procedimento analogico in bonam partem, che in modo pressoché unanime si ammette, ove ad esserne oggetto siano cause di giustificazione. Il tema delle autorizzazioni propone, quindi, interessanti punti di contatto con quello delle c.d. scriminanti procedurali, ossia con quello relativo a situazioni nelle l’ordinario giudizio di liceità, proprio delle cause di giustificazione, non si poggia sull’identificazione di un interesse prevalente, ma sul rispetto, in una situazione di conflitto tra beni, delle procedure indicate dalla legge per risolverlo. In realtà, sebbene questa rilevanza del rispetto delle procedure sia stata tematizzata dalla letteratura tedesca con riferimento alla tipologia di scriminanti appena indicate, anche da noi il ruolo svolto da tale osservanza può essere colto agevolmente: si pensi alla funzione che essa esplica ai fini della liceità dello scarico di acque reflue industriali, a norma dell’art. 137, comma 3, D. Lgs. 152/2006 (Testo unico ambientale). In questo caso, tuttavia, il rispetto delle procedure non comporta un giudizio di liceità in rapporto a un fatto in sé tipico, ma ne comporta l’atipicità tout court.