Only a small number of chartae drawn up since the early Middle Ages can be said to have had a parallel life to their usual and pre-eminent legal or notarial destination. This parallel life follows the choice, mainly by legatees, to engrave onto stone even just part of the textual content of the parchments. The purpose of this decision was to notify, publicise, and perpetuate, generally pro redemptione animae, the memory of what wealthy benefactors had arranged, initially in favour of monastic institutions and, later, also in favour of both religious and secular charitable institutions. Most of these scarce inscriptions, which we classify as ‘chartae lapidariae’ – due to their close relationship to notarial chartae, from which they derive – have been produced in Italy since the end of the tenth century, to be regularly exhibited inside or nearby sacred places. In most cases, we speak of inscriptions containing inter vivos or mortis causa testamentary acts or donations; less often, their enacting and probative content refers to papal bulls, decrees or royal or imperial orders. In both instances, we are faced with engraved documents which are irrefutable from a legislative point of view. However, the customary loss of the notarial document from which each charter derives and the lack of one or more of its essential elements, such as the datatio – probably due to the charter’s generally accepted function, since Roman times, as ‘regesta’ of the original document – means that the chartae lapidariae can hardly be considered ‘documents in the proper sense’, but only separate epigraphic ‘monuments’. Therefore, they are particularly interesting to analyse merely for their historical significance. Despite this, due to all the elements considered up to now – which can be summarised as the difficulty of demonstrating the reliability of the contents engraved onto stone, given that it is impossible to reconstruct the intimate epigraphic/documentary use of the lapidary chartae in relation to their lost notarial original – the work of Pietro Sella, Cinzio Violante, and Ottavio Banti in the past century has shed an important light on this type of documents. Nonetheless, even today, the chartae lapidariae receive little consideration. However, in the face of documentary scarcity – as is the case for Milan – they are effective in defining the role of the laity, both within the ecclesial space and in society. They are also useful in the study of charitable institutions – religious as well as secular – and of the ruling classes of Italy, especially of Milan, during the eleventh century. Therefore, despite the fact that the diplomatic significance, itself limiting the legal reliability of the chartae lapidariae, seems to have often prevailed over the historical interest, albeit of an analytical nature of the contentsof the chartae, this work aims at drawing the attention to three important and exceptional examples produced during the last twenty years of the eleventh century in Viterbo, Milan and Collescipoli., Solo un numero esiguo di chartae rogate sin dall’alto medioevo si può dire abbia avuto una vita parallela alla consueta e preminente destinazione giuridica o amministrativa notarile grazie alla scelta d’incidere su pietra, il più delle volte da parte dei legatari, anche una sola parte del contenuto testuale pergamenaceo al fine di notificare, di pubblicizzare e di perpetuare, generalmente pro redemptione animae, la memoria di quanto veniva disposto da agiati benefattori a favore, in un primo tempo delle istituzioni monastiche ed ecclesiastiche e più tardi anche gli enti assistenziali, sia religiosi sia laici. La maggior parte di queste non numerose iscrizioni, che classifichiamo come chartae lapidariae, per lo stretto rapporto con le chartae notarili da cui derivano, sono state per la maggior parte prodotte in Italia sin dalla fine del secolo X per essere esposte con una certa frequenza nei luoghi sacri o molto attigui degli stessi. Nella maggior parte dei casi si parla di iscrizioni contenenti atti testamentari o di donazione inter vivos o mortis causa; meno frequentemente il loro tenore dispositivo e probatorio riconduce a bolle papali, decreti o a diplomi regi o imperiali. In ogni caso, siamo sempre di fronte a documenti incisi indiscutibili secondo qualsiasi piano giuridico ma che, per la consuetudinaria perdita del documento notarile da cui derivano e per la facile mancanza anche di uno degli elementi essenziali della charta, per esempio, della datatio, probabilmente per la funzione generalmente assunta, sin dall’impiego romano, di “regesto” dell’atto originale, per la mancanza, si diceva di alcuni elementi essenziale del documento notarile difficilmente possono essere considerati “documenti in senso proprio”, ma solo dei “monumenti” epigrafici a sé stanti, quindi particolarmente interessanti da analizzare solo per il loro “peso” storico. Malgrado ciò, per tutti gli elementi fin qui considerati e riassumibili nella difficoltà di dimostrare l’attendibilità dei contenuti incisi su pietra data l’impossibilità di ricostruire l’intimo impiego epigrafico/documentario intrinseco delle carte lapidarie con il loro originale notarile perduto, qualche importante attenzione verso questo tipo di documentazione è comunque giunta nel secolo scorso grazie ai lavori di Pietro Sella, di Cinzio Violante e di Ottavio Banti. Ciò nonostante, ancora oggi, le chartae lapidariae risultano poco considerate sebbene dinanzi a una rarefazione documentaria, per esempio nel caso di Milano, risultino efficaci per definire il ruolo dei laici sia entro lo spazio ecclesiale sia nella società; sia nello studio degli enti assistenziali, sia religiosi sia laici, come dei ceti dominanti dell’Italia e in special modo di Milano, del secolo XI. Se, dunque sull’interesse storico, seppur analitico dei contenuti della chartae lapidariae, sembra aver spesso prevalso il “peso” diplomatistico, che pone dei limiti all’attendibilità giuridica delle carte lapidarie,con questo lavoro si vuol richiamare l’attenzione su tre casi importanti e eccezionali prodotti nell’ultimo ventennio del secolo XI a Viterbo, a Milano e a Collescipoli.